La giornata tipo di un “praticante Soka” è molto impegnativa (non in senso lavorativo). Chi di voi avrà già avuto "l'onore" di parlare con qualcuno di loro o di testare l'efficacia della pratica (o gli effetti collaterali) sarà a conoscenza della vita sociale molto intensa  dei membri (sempre fra di loro) della Gakkai.

Come ogni religione che si rispetti il mattino è l'occasione di beatificare la giornata, scongiurando l'universo ed il gohonzon (l'oggetto di culto) affinché tutto vada come desiderato. Il “gongyo” (nome della preghiera recitata rigorosamente in lingua giapponese – della quale non è importante conoscerne il significato e che non vi verrà insegnato se non dopo lustri di pratica assidua) e il Daimoku (la recitazione del mantra 'nam myoho renge kyo') sono volti al buon profitto del nuovo giorno e al riscatto di cumuli di karma negativo da dover smaltire. In base agli obiettivi prefissati, ogni membro dovrà decidere quanto tempo dedicare alla preghiera, rimanendo attenti a proporzionare in modo opportuno la quantità di daimoku alle proprie ambizioni. In questo caso non è importante l'animo con il quale si prega, ma quanto si riesce a pregare, più lo si fa e maggiori saranno i premi di cui la nostra vita ha in animo di desiderare. I neofiti saranno seguiti da un membro già avviato, onde evitare che la pratica diventi un abito tagliato su misura. Gli assidui incontri con i compagni di fede sono infatti la colonna portante di questo culto, su cui qualsiasi novizio dovrà affidarsi pienamente (un modo intelligente per compiere un controllo costante sulle persone). Ogni gruppo, oltre al proprio, ha un obiettivo comune su cui pregare (è il motivo ufficiale per giustificare e celare il controllo di cui prima si parlava); di norma si tratta dello shakubuku, una specie di evangelizzazione/proselitismo, in questo caso buddica di nuove persone dedite alla pratica. I luoghi di recitazione e di dimostrazione verso i nuovi arrivati, sono generalmente le loro case. Inginocchiati davanti alla pergamena sacra (gohonzon) che rappresenta il “sutra del loto” (non sono disegni ma scritte in giapponese, di cui più della metà dei devoti non ne conosce il significato – se non quello che basta ovvero il classico “questo è il Sutra del Loto) in altre parole "la purezza della vostra vita". Recitano assieme per ore (ad libitum se si pensa che c'è chi continua a farlo mentalmente anche durante il resto della giornata) “nam myoho renge kyo”. Terminato l'incontro mattutino a casa di qualcuno, ognuno ritorna alle “proprie” vite, lavoro o studio che sia. È importante precisare che nel tempo libero (pause pranzo in particolare), è consigliato ritrovarsi con i “compagni di fede” per recitare o scambiare due parole inerenti, come sempre, al buddismo. La sera se non si ha la possibilità di ospitare o di recarsi presso la compagine religiosa (cosa sconsigliata, ricordiamo che il daimoku ha più effetto se condiviso) si dovrà procedere in maniera solitaria alle “orazioni”. Anche in questo caso si reciterà gongyo, accompagnato da una moltitudine di daimoku, il necessario per portare ad elevazione la nostra vita. La pratica non è composta solo da questo. Settimanalmente, quindicinalmente, mensilmente, bimestralmente, semestralmente, annualmente ... ci sono incontri finalizzati all'approfondimento di molteplici argomenti. L'appuntamento più comune è lo “zadankai”, una riunione quindicinale aperta a tutti, non solo ai membri del gruppo, dove si discutono i principi del suddetto buddismo e si approfondiscono, assieme agli estranei invitati per l'occasione, gli argomenti settimanali con letture di libri, opuscoli, appunti (e chi più ne ha...) e si accettano curiosità, domande o dubbi da parte degli ospiti sulla confessione. Gli zadankai come voi avrete ben pensato non sono improvvisati! Infatti i membri si ritrovano con largo anticipo per organizzare gli argomenti di cui parlare. Quando lo fanno? Durante la settimana ovviamente, prima durante o dopo i loro incontri. Quanto tempo avranno quindi per svolgere la loro vita al di fuori dell'equipaggio di fedeli salvifici? Zero! In questo modo non c'è contatto con la realtà, non c'è tempo per confrontarsi con i chi non è un praticante (definito per precisione di termini una persona “non risvegliata”, sopita dal sonno della vita, quindi di una casta inferiore) o per soffermarsi a pensare (ed è l'obiettivo reale, rendere esente chiunque dal poter pensare con la propria testa). Non vi stupirà sapere che gli impegni non sono finiti. Lo studio dei sutra sono essenziali per poter proseguire alla conquista dei tanto anelati desideri. Una volta la settimana (più o meno) si dovrà provvedere all'ennesimo incontro religioso preventivamente preparato (con altri incontri) e discutere dei fondamenti essenziali della religione. Altri incontri sono organizzati dalle “divisioni” (si chiamano così) dello stesso gruppo, che sono i “giovani uomini”, le “giovani donne”, gli “uomini”, “donne” e i “responsabili”, che si incontreranno regolarmente per altri obiettivi, altre recitazioni e preparazioni di eventi dedicati alla loro categoria o all'intera ciurma di praticanti. Propongo un esempio reale (il mio vissuto): una persona che studia, lavora, vive da sola e non ha nessuno dei suoi cari vicini che la possono aiutare, come può ottemperare ai propri impegni e a tutti quelli della “community”? Semplice, facendo affidamento sui compagni di fede. Non riesci a preparare la cena, a stendere le lavatrici o a fare la spesa? Ma ci sono loro! Nel momento del bisogno nessuno ti lascerebbe solo, sennò come si creerebbe quella dipendenza/sudditanza tra i membri? E non a caso chi ti è sempre accanto è una persona che pratica da molto o un responsabile... E sempre meno a caso ci si sente sempre più debitori verso “coloro i quali offrono in modo gratuito il loro tempo per te”. Intanto la pratica e i ritmi già di per sé assillanti diventano sempre più difficili da sopportare, la stanchezza si accumula, ci si sente sempre più insoddisfatti e si finisce a volte col deperire fisicamente (e rimbecillirsi a puntino). Di questo se ne renderanno conto anche i compagni che non esiteranno a chiedere il perchè di questo momento vacillante. Le risposte alla vostra spiegazione non saranno nient'altro che pretesti già sentiti, risentiti e rimurginati al momento per dare un'indicazione logica (se tale può essere) a chi ormai non ne sta conservando più un briciolo: “Non pratichi con abbastanza fede” “Devi cambiare atteggiamento nei confronti della tua vita” “Devi recitare più daimoku” “Devi fare dello zaimu”. Siamo arrivati all'argomento cruciale: Cos'è lo “zaimu”? Le varie confessioni ecclesiastiche la indicherebbero come un'offerta, un obolo per l'espiazione dei propri peccati (un'usanza nata circa nel medioevo, ancora -e sempre- in uso anche in altri culti, dove si acquistava la propria seggiola vicino al redentore, o si purgava la propria anima dalle colpe accumulate); noi ci limitiamo a declamarla per quello che è secondo la Soka, ovvero “l'offerta in denaro alla propria vita” (in questo caso non c'entra lo shopping terapeutico o i piccoli regalini che ci si possono fare, il denaro in questione è devoluto alla Soka per la sua stessa “crescita”). Quanto denaro? Il più possibile. Ma se una persona si può permettere di devolvere 10€ e li dona, ha aderito allo spirito dello zaimu? No, perchè non ha fatto nessuno sforzo o rinuncia. Lo zaimu ha significato solo quando il soggetto in questione dona di più di quanto si possa permettere. Questa è la vita (media) di un regolare fedele della Soka Gakkai, oberato da impegni religiosi, incontri religiosi e pensieri (religiosi).

Saha